Illuminante ed estremamente motivante l’ultimo discorso che la grandiosa Michelle Obama ha fatto in sostegno della campagna elettorale di Hillary Clinton.
In un passaggio del discorso di Michelle Obama recita:

“When they go low, we go high”

Quando loro cadono in basso, noi saliamo”, riferendosi agli atti di prepotenza e bullismo e al fatto che non si deve scendere al livello di chi commette atti crudeli e ignobili.
E questa è una grande lezione di vita, che può essere applicata in tantissimi ambiti.

discorso michelle obama

Ero alle scuole medie del quartiere dove vivevo a Roma. Un quartiere popolare, come tanti, un bacino che raccoglieva una varietà di tipologie di persone oserei dire infinita. E’ stata una bella palestra di vita per me, che provenivo dal mondo ovattato delle scuole private, in cui erano più o meno tutti figli di papà, non c’erano problemi gravi, non sapevo neanche il significato di termini come “disagio” o “diverso”.
La realtà non aveva tante sfumature.
Non mi ponevo problemi semplicemente perché non ne avevo visti, non ne conoscevo l’esistenza. Ero in quella che viene chiamata “bambagia” e ci stavo alla grande.
Poi, alle scuole medie, sono stata catapultata nel mondo vero, quello fatto di famiglie di tutti i tipi, di persone con realtà completamente diverse tra loro.
Davo per scontato che essere me stessa e dare, al solito, il meglio di me, mi avrebbe fatto stare bene, come sempre. Ma ero isolata.
Ero additata come la secchiona, quella che non sapeva divertirsi, quella con il papà professore che non la faceva truccare ed uscire il pomeriggio. Inevitabilmente non facevo parte di nessun gruppetto.
Ero tenuta fuori da qualsiasi discorso, incontro, complicità.
Me ne resi conto in seconda media. Ci soffrivo.
Soffrivo del fatto che anche fisicamente mi vedevo lontana dalle mie compagne di classe: tutte alla moda, bellissime, qualcuna truccata e talvolta appariscente. Volevo essere come loro. Avrei tanto voluto la loro libertà, i loro genitori comprensivi e di vedute aperte. Avrei tanto voluto vedere posare su di me gli sguardi dei ragazzi della scuola, come accadeva con loro.
Ne piangevo, il pomeriggio a casa.
Oh, se piangevo! Mamma mi consolava dicendo: “Dai tempo al tempo, arriverà anche per te il momento! Perché hai tutta questa fretta?
Ma a me, le consolazioni di mia madre non facevano altro che alimentare il mio pensiero: “Ma che ne sai tu?!”.
Ero la classica sfigata, diciamocelo.
Non ero vittima di bullismo, o almeno, non di quello serio, grave, cattivo, assolutamente no. Era emarginazione.
Insomma, per una come me, a cui piace stare in mezzo alla gente, conoscere persone, stare in compagnia, era la più grande delle sofferenze questa, se poi a tutto ciò si aggiunge la delicatissima fase dell’adolescenza, immaginate come potevo sentirmi.
Così, pensai ad una grossa genialata: “Se Maometto non va alla montagna, sarà la montagna ad andare da Maometto!”.
Secondo me (la me dell’epoca), il motivo della mia emarginazione era perchè ero la secchiona della classe: quindi, se il mio rendimento scolastico avesse subito un bel calo, in automatico mi avrebbero accettato. Pensavo. Quindi, ho smesso di studiare.
Semplicemente rendevo per quel che riuscivo a fare senza studiare. E da voti brillanti, sono arrivata a 6 stiracchiati. Con grande meraviglia dei professori, che però non mi dissero nulla. Si limitarono ad osservare.

Finalmente mi sentivo uguale agli altri, non più la diversa e forse anche il mio atteggiamento nei loro riguardi era automaticamente cambiato e mi sembrava quasi che cominciassi ad essere dei loro.

Fu in occasione di uno dei colloqui con i genitori, che l’allora mia professoressa di matematica parlò con mia madre e le fece notare questo calo, chiedendo se a casa fosse successo qualcosa. Mia madre rimase interdetta: tutto era come era sempre stato. Nessun trauma. Nessun cambiamento. Niente di niente. Ma mia mamma, che mi conosce, un sospetto ce l’aveva eccome. Tale sospetto fu confermato dalla professoressa stessa che le disse: “Secondo me, Micaela, per essere accettata dal gruppo classe, sta rendendo di meno, perché vuole essere come loro!”. Ci aveva preso in pieno.

A quel punto, mia mamma, forte della conferma che aveva ricevuto, al rientro da quel colloquio, mi chiamò in cucina. C’era anche papà che in quell’occasione era rimasto in silenzio: il dialogo in famiglia era delegato del tutto a mamma, che ci sapeva nettamente fare.
Ricordo quel tardo pomeriggio.
Ricordo lo sguardo serio e pungente di mio padre.
Ricordo lo sguardo di rimprovero e di grande dignità di mia madre. E le sue parole.

“Non sei tu che devi abbassarti al loro livello, sono loro che si devono alzare al tuo. Tu sei meglio di quello che vuoi far vedere. E’ un peccato che butti via le tue potenzialità. Per cosa poi? Cosa pensi di avere in comune con chi non ti apprezza per quello che sei?”

Quell’inizio di discorso, quelle parole: “Non sei tu che devi abbassarti al loro livello, sono loro che si devono alzare al tuo” mi hanno sempre riecheggiato nella testa.
Mi hanno scosso e mi hanno fatto vedere le cose sotto un’altra prospettiva. E mamma aveva ragione. Era esattamente così. Mi punse nel vivo del mio grande orgoglio. E mi destò.
Ripresi a studiare, come e più di prima, ripresi i miei adorati libri di matematica e i quaderni che avevo lasciato perdere. Ripresi il mio orgoglio e la mia dignità e andai avanti.
Sono andata molto avanti.

Questo insegnamento mi ha sempre accompagnato.
Questo ricordo mi è sgorgato fuori in occasione della lettura del meraviglioso discorso della First Lady più brillante della storia degli Stati Uniti d’America.

Mia mamma come Michelle Obama. O meglio: Michelle Obama come mia mamma.

4 pensiero su “Di quando mamma mi fece un discorso alla Michelle Obama”
  1. E no! I lacrimoni no!
    Metti un banner all’inizio con scritto “post lacrimoso” così mi preparo i kleenex!

    Comunque bellissimo.
    Tanti complimenti alla tua mamma.

  2. Grande mamma Gabriella. È tu hai molto di lei… L’ironia pungente, la voglia di stare in compagnia, di partecipare alla vita dei propri figli come protagonista e faro. È anChe se non si sarebbe mai pensato…la capacità di cucinare…

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