cosa accade con le ripetizioni di matematica al momento giusto

Last Updated on 18 Giugno 2019 by Micaela

Per chi non lo sapesse già e approda sul mio blog per la prima volta, magari in preda alla disperazione che il proprio figlio ha bisogno di aiuto in matematica, voglio dire che anche io, laureata quasi a pieni voti in matematica a “La Sapienza” di Roma (ormai nel lontano 2000), sono andata a ripetizioni.
Vi racconto tutto per filo e per segno.

Cosa è per me la matematica

Sono cresciuta tra libri di matematica e fogli di formule scritte e riscritte sparpagliate sul tavolo grande del salone.
Ricordo mio padre immerso in una nuvola di fumo, la piramide di mozziconi di sigarette puzzolenti nel posacenere affianco e lui chino sui fogli, con la matita in mano, in assoluto silenzio, completamente assorto.
O preparava una lezione, o correggeva compiti fatti in classe, o si preparava all’ennesimo concorso.
Poteva accadere la qualunque attorno a lui, non se ne sarebbe mai accorto.
Una volta chiusa la porta del salone, lui era sul suo pianeta. E quel pianeta mi affascinava parecchio.

Alle volte, quando ormai la vista cominciava a calare e magari doveva cambiare gli occhiali, mi chiamava: “Michy, vieni un attimo?”
Io bimbetta delle elementari, correvo più veloce che potevo, spalancavo la porta e mi fermavo lì, trattenendo il fiato, aspettando istruzioni.
“Mi vedi qui che numero c’è scritto, per favore?” e mi faceva leggere quei numeri scritti piccolissimi agli estremi di un integrale.
Ero strafiera di quell’aiuto che potevo porgergli ed ero incuriosita da quei ghirigori, da quei segni incomprensibili.
Mi sentivo importante e in quel momento facevo parte di quel pianeta anche io, ero con lui sul suo stesso pianeta incomprensibile e parlavamo la stessa lingua, io inconsapevolmente.
Mi ripetevo: “Un giorno anche io capirò queste cose! Un giorno sarò come lui.”.

Il mio destino era segnato

E così è andata. Dopo le medie scelsi il liceo scientifico appositamente per la mia passione per la matematica e per la scelta successiva: studiarla anche all’università.
Mi piaceva da matti, succhiavo quelle formule e quei teoremi come fossero limonata fresca in un pomeriggio d’estate, non provavo fatica o difficoltà, per me era quasi un passatempo svolgere un’equazione o risolvere un problema di geometria euclidea. Era una pacchia. E provavo una grande soddisfazione, ma grande proprio!
Tutto è sempre stato facile e senza intoppi, ho cambiato vari insegnanti nel corso degli anni e sempre mi sono trovata bene, con i diversi approcci e metodi di insegnamento, con i diversi ritmi e argomenti.

Arrivò la grande crisi

Poi è arrivata la GRANDE CRISI con il nuovo insegnante di matematica all’ultimo anno del liceo, dopo averne cambiati ormai 3 negli anni precedenti.
A quanto pare, questa crisi sarebbe comunque dovuta arrivare prima o poi.
Con questo nuovo professore non riuscivo a capirci più nulla, l’ora di matematica era diventata un’angoscia, quello che prima era il mio ossigeno, era quasi diventato veleno, lo era diventato in realtà per molti della mia classe, che fino ad allora non avevano avuto problemi.
Poi un giorno, a pranzo tornai a casa da scuola e seduta a tavola dissi ai miei: “Non mi segno più all’università!”.
Così, perentoria, senza troppi giri di parole e senza preamboli (caratteristica che tuttora mi contraddistingue!).
Il silenzio scese su quel tavolo. Anche il rumore delle posate nei piatti cessò.
Se c’era una certezza nel futuro immediato della famiglia era quello che da quel settembre in poi mi sarei segnata all’università e avrei studiato finalmente matematica.
Insomma, il gelo calò, la terra si squarciò, il buio totale, il silenzio più assoluto (come cantava la sigla di Ken Shiro, ricordate?).
Non arrivarono domande, i miei genitori non mi sommersero di perché, di consigli non richiesti e di facili soluzioni. Ci fu quel silenzio che io mi sentii subito in dovere di riempire con delle spiegazioni: “E’ che se non capisco più la matematica, non posso fare altro all’università. Quindi non ci vado proprio.”
Per me il discorso finiva lì.
I miei mascherarono il loro shock e solo ora capisco che erano sotto shock seriamente, in quell’istante non me ne accorsi nemmeno.
Chissà quanti discorsi tra loro seguirono quel momento, so solo che mossi dall’istinto e dalla grande motivazione che solo un genitore preoccupato può avere, trovarono una via per affrontare la cosa.
Un giorno mio padre tornò a casa dalla sua lezione e disse: “Oggi pomeriggio vai un paio d’ore a fare lezione con un mio caro collega. E’ molto in gamba. Se anche con lui non capisci la matematica, se proprio non vorrai più saperne come dici, allora vedremo di trovare un’altra strada. Ma tu, oggi, ci riprovi.”
Sì. Era il caso di farlo. Capii che era una chance che mi dovevo concedere assolutamente. Non potevo mollare.
E quelle parole del mio professore del momento: “Se non capisci queste banalità, non sopravvivrai mai all’università! Rinunciaci subito e risparmia tempo.” mi facevano malissimo, mi riecheggiavano di continuo nella testa, era un affronto che scottava e che toccava il mio punto più debole e a cui tenevo più di tutto.
Non potevo dargliela vinta, a ‘sto bastardo!

Così andai a ripetizioni di matematica

Andai. Era la prima volta in assoluto che andavo a ripetizioni di matematica. Era una necessità che non avevo mai avuto prima, anzi.
Andai con il mio nuovo quaderno a quadretti, intonso. Volevo ricominciare da zero e vedere se così potevo scrollarmi di dosso quella negatività, quel sapore amaro che avevo in bocca.
Quelle due ore volarono.
Subito rividi la luce. Ascoltavo le parole del collega di papà rapita e pensavo: “Lo capisco! E’ ovvio! Lo capisco davvero!”.
Ricordo che alla fermata dell’autobus, quel pomeriggio, mentre aspettavo per tornare a casa, cominciai a piangere. Mi vergognai anche un po’. Effettivamente.
Tornai a casa carica di fiducia e di nuovo con tutto chiaro nella testa. Il mio futuro era di nuovo chiaro.
Avevo fiducia in me stessa ed avevo capito che forse avevo solo bisogno di un aiuto, di un altro punto di vista per poter andare avanti e superare quella che era stata la prima di una lunga serie di difficoltà di diversa dimensione di cui la vita è costellata.
Tornai da lui altre volte, per continuare ad essere sicura di me, per continuare a fissare le idee che in classe non riuscivo a comprendere, per nutrire la mia voglia di andare avanti.

cosa accade con le ripetizioni di matematica al momento giusto

Non fu una sconfitta, anzi!

E non la vidi come una mia sconfitta quella di andare a ripetizioni, la vidi invece come un’opportunità.
Perché la matematica che facevo in quei pomeriggi era la stessa matematica che mi era sempre piaciuta.
Una volta chiesi a papà: “Pà, perché non sei stato tu a farmi ripetizioni?”
Lui mi rispose: “Non sarebbe stata la stessa cosa e non ti saresti convinta che tu sei fatta per la matematica, ti saresti sempre detta che essendo tuo padre era ovvio che ti dicessi che sei brava. Ma lo sei, veramente.”

Ecco. Questo per dire che anche io sono andata a ripetizioni di matematica, pur essendo la mia passione più grande e la mia vocazione. Ci sono andata. E ne sono fiera.

Cosa successe poi…

A quell’insegnante che mi stava per gambizzare la vita poi, il destino beffardo diede il trasferimento proprio nel liceo in cui insegnava mio padre (che strano l’universo a volte, no?), non ebbe vita facile, non solo perché aveva mandato in crisi la pargola, ma perché proprio era un incapace e gli incapaci non avevano affatto vita facile con mio padre.
Tornai da lui, dopo il conseguimento della mia laurea e fu bellissimo sentire mio padre dirgli: “Saluta come si deve la nostra collega ora!”.

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Un pensiero su “Di quando sono andata a ripetizioni di matematica”
  1. Nel leggere il tuo articolo ripercorro con te l’intero anno passato insieme pieno di ansie, preoccupazioni e amicizia. Un grosso bacio

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